Riformatore scozzese. Poco si sa dei suoi anni giovanili; si suppone abbia
studiato all'università di Glasgow e, con maggiore certezza, a St.
Andrews. Nel 1543 era prete e notaio apostolico. Convertitosi alla Riforma, nel
1546, insieme con un gruppo di nobili protestanti, fu fatto prigioniero dai
Francesi e rimase in carcere sino al 1549, quando fu stipulato l'accordo tra
Francia e Inghilterra. Rimpatriato, divenne uno dei cappellani di re Edoardo VI
e, in quanto tale, collaborò alla stesura del secondo
Prayer Book.
Alla morte di Edoardo, cui era succeduta come reggente Maria Tudor, per sfuggire
alla reazione cattolica, si rifugiò dapprima a Dieppe, poi a Zurigo e a
Ginevra dove conobbe Calvino, convertendosi definitivamente alla sua dottrina.
Ritornato in Scozia nel 1556, fu perseguitato come eretico e dovette nuovamente
fuggire a Ginevra. Nel 1558,
K. si trovava in esilio, condannato a morte
dalla gerarchia cattolica scozzese, per quanto a lui facesse capo un forte
movimento protestante. Dato questo sostegno popolare e considerato che la
corona, per la sua alleanza con la Francia, rimaneva decisamente cattolica,
tutto ciò su cui egli poteva contare era una politica di resistenza. E,
infatti riuscì, in soli due anni, a portare a compimento la riforma
scozzese. Ritornato nel 1559, si mise alla testa dei riformati in lotta contro
la reggente Maria Tudor e contro i Francesi, sollecitando l'aiuto inglese. In
questa situazione egli scrisse il suo
Appello alla nobiltà, agli
Stati e alla comunità scozzese, affermando che dovere di ciascuno era di
far sì che fosse insegnata la vera religione. Morta la Tudor, grazie
all'appoggio delle forze popolari, riuscì a far approvare dal Parlamento
di Edimburgo la confessione calvinista (
Confessio scotica) che impose a
Maria Stuarda. Ebbe un ruolo di protagonista nella lotta tra il popolo, ormai
calvinista, e il partito della corte, decisamente cattolico, appoggiato dalla
nobiltà che, anche dopo la deposizione della regina (1567), era rimasto
ostile alla Riforma per le implicazioni democratiche che essa comportava. Nei
suoi principi fondamentali,
K. aderiva totalmente alla dottrina di
Calvino. Egli affermava la verità assoluta della dottrina cristiana nella
sua versione calvinista e, in nome di tale verità assoluta, sosteneva che
compito della Chiesa era di imporre la sua disciplina anche a coloro che non
volessero accettarla. Pertanto, compito di ogni cristiano doveva essere quello
di contribuire a dare a questa dottrina e a questa disciplina tutta l'importanza
dovuta alla loro verità. E poiché in Scozia esisteva un reggente
cattolico per una regina cattolica che non solo rifiutava la vera fede, ma
sosteneva attivamente l'idolatria (il cattolicesimo),
K. affermava
risolutamente che dovere del credente era di correggere e di impedire tutto
ciò che un re fa contro il verbo, l'onore e la gloria di Dio. E, in nome
della necessità di affermare la verità assoluta, egli rifiutava la
dottrina di Calvino dell'
obbedienza passiva. Dietro certe affermazioni di
K. appare il presupposto che i re debbano il loro potere all'elezione e
siano quindi responsabili dinanzi al popolo dell'esercizio di tale potere.
Quest'idea, però, di fondamentale importanza, è stata lasciata
allo stadio embrionale. Nella sua versione del Calvinismo, i punti essenziali
sono i seguenti: viene abbandonata l'opinione di Calvino che la resistenza sia
sempre ingiusta e sostenuto quindi che la resistenza è doverosa nella
difesa della riforma religiosa. Egli assunse la sua posizione basandosi sul
dovere religioso, e non sui diritti popolari, ma sollevò un forte gruppo
di chiese calviniste contro il potere regio, giustificando arditamente l'uso
della ribellione. La sua opera fondamentale è la
Storia della Riforma
in Scozia (1586) (Giffordgate, presso Haddington 1505 o 1513 - Edimburgo
1572).